Il canneto di Eridu

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Almanacco, LXXVIII

Settantottesima pagina dell’Almanacco del Canneto di Eridu
5 aprile 2013

Ventuno anni fa iniziava il più lungo (e uno dei più atroci) assedio della storia moderna.
L’assedio di Sarajevo, ad opera delle truppe jugoslave (sostanzialmente serbe) a seguito della dichiarazione unilaterale di indipendenza della Bosnia Erzegovina. Un assedio durato formalmente fino al 29 febbraio 1996 e i cui effetti si protraggono nel presente, e nel futuro, fino a chissà quando.

Un assedio, soprattutto, che ha trasformato un ponte in un fossato. Una grande città di incontro (una delle poche al mondo che nello spazio di poche centinaia di metri, nel centro storico, vanta sinagoghe, cattedrale e altre chiese cattoliche, chiese ortodosse, moschee ottomane) di popoli, di culture, di religioni, il crocevia tra occidente e oriente, diventa così il luogo dello scontro, il paese della follia dove mille divisioni sorgono, e dove il vicino si arma contro il vicino, e tutto è genocidio. Dove l’umanità, intesa come concetto, muore.

Il primo almanacco, lo scorso anno, vi ho chiesto un fiore per la Siria. Ora vi chiedo un pensiero per Sarajevo. Un pensiero legato a qualcosa che ha fatto fare passi avanti a società multietniche, qualche progresso nella storia, qualche città, qualche momento in cui l’unione di più popoli ha fatto progredire la civiltà. E ognuno di questi pensieri sia un mattone, e ogni mattone serva per ricostruire il ponte, quel ponte tra europa occidentale e orientale, tra cattolici e ortodossi, tra europa e asia, tra cristiani, ebrei e musulmani, un ponte tra le genti.

Parto io, con la prima città multietnica di cui si abbia conoscenza storica: Eridu. Con l’unione delle culture dei pescatori del golfo persico, degli agricoltori della cultura di Samara, e dei nomadi del deserto, nacque la civiltà sumerica, la prima di cui abbiamo notizia su questo pianeta.

#30. Canederli.

Vi propongo in questa occasione un tema a richiesta. Il buon Mauro mi ha chiesto di parlarvi di canederli. Vediamo dove ci porta questa cosa, proviamo, dài.

I canederli sono un piatto tradizionale, costituito da polpettozzi di un composto di pane raffermo, latte e uova, cotti in brodo o acqua salata, e poi consumati in brodo oppure asciutti, con burro fuso. A seconda della variante si possono aggiungere ingredienti per insaporire e personalizzare la ricetta, come speck, formaggio, prezzemolo. Inutile star lì a sottolineare che io ho provato a farli e non mi sono venuti neanche male – seppure poco cedevoli alla forchetta – in variante con speck e pane senza glutine.

Ora, è chiaro ed evidente che sarebbe inutile, in un blog come questo che non ha certamente la cucina tra le finalità principali, il piantare qui una ricetta copiata su qualche sito mitteleuropeo. Quindi non lo farò.
Però sappiate che è un ottimo piatto, e se lo volete assaggiare fatto bene vi potete concedere un giretto in Trentino, una bella escursione verso un rifugio, e poi un piatto fumante di canederli. Allieta la giornata. Non come il capriolo, va bene, ma allieta la giornata.

Ma concediamoci qualche divagazione elucubrativa.

Cominciamo a considerare qual è l’areale di diffusione del canederlo. Con nomi diversi (il più noto dei quali è probabilmente “knödel”), il nostro gnocco di pane è cucinato e apprezzato in Trentino, nell’Alto Adige-Süd Tirol (e anche nel Tirolo austriaco, incluso l’est), nel bellunese, in Friuli. Praticamente tutta l’Euregio del Tirolo, anche se oggi come oggi l’Europa non ha tanto tempo da dedicare al tema delle Euregio.
Il canederlo è poi tipico anche in Austria, Baviera, Boemia, Slovacchia. Financo in Polonia. E anche se la cultura (e quella culinaria è una forma di cultura, nel senso di un insieme di conoscenze e gusto estetico che si legano) si espande per aree in qualche modo contigue, per vicinanza di territorio o di aspirazioni, ignorando i confini, l’areale dei canederli non può che farci ricordare (pur non aderendovi completamente, soprattutto nella parte orientale), una volta disegnato su una cartina geografica, il vecchio Impero Austro-Ungarico (col vicino Regno di Baviera).

L’Austria-Ungheria è stato uno dei primi due grandi stati multi-nazionali moderni, essendo l’altro il Regno Unito.
Nel Regno Unito convivono gli inglesi – cresciuti nella stratificazione di elementi romano-brittonici, anglo-sassoni, franco-normanni (sostanzialmente celti, romani, tedeschi, vichinghi, francesi, sovrapposti tipo lasagna) – con gruppi culturalmente più antichi e isolati: gli scozzesi (pitti e scoti sono sempre stati piuttosto refrattari alla mescolanza), i gallesi (le cui marcate origini celtiche sono tuttora riscontrabili nei gradevolissimi toponimi come Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch… no, dico davvero, c’è…), gli irlandesi dell’Ulster.

Ma in Austria-Ungheria convivevano austriaci, ungheresi, boemi, tedeschi, italiani, croati, sloveni, serbi, bosgnacchi, ruteni… qualcosa in più, diciamo. E se è vero che in un regime assolutista le minoranze etniche in genere non stanno mai benissimo (ma non è che avessero molti meno riconoscimenti che non le minoranze disomofone in stati assolutamente democratici come la Francia di oggi), è pur vero che, il canederlo insegna, una certa cultura di stampo austro-ungarico mitteleuropeo si andava diffondendo.
Cosa sarebbe successo senza la Prima Guerra Mondiale a distruggere il più grande stato dell’Europa centro-orientale? È stato lungimirante da parte delle potenze occidentali (Francia e Inghilterra) permettere la dissoluzione di uno degli stati più antichi d’Europa, e magari uno stato che avrebbe potuto stabilizzare una regione che invece ha portato avanti guerra e tragedia e sterminio fino all’altro ieri pomeriggio?
Avrebbe potuto l’Austria-Ungheria essere la gamba orientale dell’Unione Europea (mancante fino agli anni Novanta), magari addirittura l’esempio di come costruire uno stato sovranazionale?

A posteriori verrebbe da dire che no, non sono stati lungimiranti, e che peraltro no, non avevano grossi appigli per fare quello che hanno fatto. C’è da considerare che se a ogni popolo doveva corrispondere uno stato, l’Inghilterra andava smembrata e doveva rinunciare a tutto il suo impero coloniale prima di toccare la monarchia asburgica. Se le minoranze andavano tutelate, qualcosa per corsi, occitani, baschi, piccardi e bretoni andava fatta. E c’è da chiedersi come potessero ritenere perfettamente ingiusto avere italiani sotto il controllo dell’Austria, e invece giusto avere austriaci sotto il controllo dell’Italia (mi riferisco ovviamente alle zone germanofone dell’Alto Adige).

C’è anche da chiedersi se l’ascesa dei fascismi in Germania e Italia avrebbe (e probabilmente sì, avrebbe) contagiato anche l’Austria-Ungheria, creando anche qui una pericolosa terza gamba forse più forte che un nugolo di piccoli stati. O magari sarebbe esplosa sotto alle tensioni pro-naziste pro-comuniste pro-occidentali, deflagrando con 30 anni di ritardo in maniera ancora più clamorosa e roboante di quanto non sia successo. O magari sarebbe diventata uno stato fortemente anti-fascista, un potente Alleato in grado di aprire un fronte difficile a meridione tra la Germania e l’Impero Ottomano.

Ma sono domande che non avranno mai risposta, e le risposte che avranno saranno solo supposizioni oziose poco interessanti. Di certo c’è che ogni guerra porta con sé una catastrofe, e la conferenza di pace successiva raramente fa di meglio.

Le guerre è meglio non farle, che finirle.
I canederli è meglio mangiarli, che tirarseli.

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