Il falò crepitava su una collina nei pressi della Notte scelta come sede di una grande festa per tutta la colonia. Era stata un’idea di Jaima: nei giorni precedenti, a seguito del salvataggio di Lilith e della scomparsa di Shin, la piccola comunità era stata scossa da tensioni, incomprensioni, dissapori. Era sicuramente il momento di cercare di fare gruppo. Così la donna non solo aveva proposto di fare una grande festa intorno al fuoco, ma anche di preparare per tutti l’Essiac, la bevanda sacra del Popolo. A differenza di bevande analoghe della maggior parte dei popoli nativi canadesi, che erano semplicemente curative, quella del Popolo comprendeva ingredienti dalle blande proprietà psicotrope, che combinati con alcune erbe sacre permettevano, si diceva, di amplificare la percezione degli spiriti, rendendo più esile il confine tra i mondi. E nelle intenzioni di Jaima avrebbe reso più esile anche il confine, e più modesta la distanza, tra questo pianeta e la Terra.
Anaba inizialmente si era detta fermamente contraria: il rituale funzionava sulla Terra – aveva detto alla sua compagna – perché là erano gli spiriti degli antenati. A cosa avrebbero aperto le porte, qui? Quali spiriti giacevano assopiti su questo mondo? A chi avrebbero rivelato la loro presenza? Il tutto senza nemmeno l’aiuto di Shin, un uomo che conosceva bene la potenza degli spiriti e il modo in cui interagire con loro, anche nei casi peggiori. Tuttavia l’insistenza di Jaima, preoccupata per l’unità della colonia, aveva finito per convincerla, e così la Ha’Oba si era lasciata trascinare.
Il maggiore Smith aveva accettato la proposta, anche se si era dimostrato meno collaborativo del solito. Aveva garantito la disponibilità di alcuni dei suoi uomini che per un’intera giornata avevano tagliato legname di indaco. Diana e i tecnici, invece, erano rimasti per tutto il tempo distaccati al terminale dell’astronave, a lavorare a una serie di statistiche su richiesta del maggiore stesso.
E così, mentre il fuoco crepitava e un calderone sobbolliva lentamente, e verso occidente si stendeva uno splendido cielo stellato, Jaima avanzò a piedi nudi, nella sua splendida tunica bianca rituale, fittamente ricamata d’oro e di scarlatto, e salutò tutti gli abitanti della colonia, dando loro il benvenuto, il petto ansante per l’emozione.
— … e se anche siamo lontani da quella che una volta era “casa” — disse nel suo discorso — non dobbiamo sentirci perduti! Stiamo faticosamente costruendo una nuova casa, con gente che stiamo imparando a considerare la nostra famiglia. Uniti, insieme, come una vera famiglia deve fare. E se anche siamo lontani, tuttavia, nel profondo del nostro cuore portiamo con noi i nostri ricordi, i nostri cari, i nostri avi, che scorrono nel nostro sangue. In questo posto la natura è aliena, ma i nostri spiriti sono con noi. Per questo abbiamo preparato per tutti la nostra bevanda sacra, che ci aiuterà a percepire come siamo tutti legati e fratelli, e potremo così comunicare tra di noi e con i nostri spiriti!
Anaba, poco dietro di lei, indossava i suoi abiti tradizionali di cuoio, con una corona di piccole piume rosse infilate tra i capelli. Si avvicinò con una grande coppa di legno, nella quale mise un mestolo di Essiac. Sospirò, ben poco convinta, ma poi lo sguardo amorevole di Jaima la spinse a continuare.
I primi ad avvicinarsi furono alcuni membri del Popolo, che bevvero un sorso dalla coppa, a turno. Poi, pian piano, superando l’iniziale diffidenza, anche gli altri iniziarono, in ordine sparso, ad avvicinarsi.
Quattro ragazzi, che erano riusciti a far imbarcare chitarre e percussioni, improvvisarono un po’ di musica e Johnny Jones Jr., per tutti J.J., un ragazzone biondo che sulla Terra era stato un giocatore di hockey universitario di belle speranze, si faceva notare ballando senza freni. Nel ballare, finì addosso al fratello di Lilith, il giovane Paytah, che stava cercando un modo per potersi intrufolare a bere l’Essiac rituale, vietato ai ragazzini della sua età.
— Ciao pupazzetto! — disse J.J. al giovane fratello di Lilith.
Poi, indicando Adalindee che ballava poco lontano:
— Che ne dici di quella? Te la faresti?
Il ragazzino guardò la bionda seguace di Shin, che aveva più o meno l’età di sua sorella, fece una smorfia di disgusto e rispose:
— Quella?! Ma è uno dei membri più inutili della colonia! Ora che non c’è più l’eremita non sa nemmeno cosa fare della sua vita.
— Quindi “no”. Allora vado io.
E si allontanò in direzione della ragazza, dalla quale prese una sberla pochi istanti dopo.
Paytah, soffocata una mezza risata, provò poi a mettersi in coda per l’Essiac, sperando di non venir notato, ma venne stoppato quasi subito da un soldato:
— Buono, ragazzo. Non sono per niente sicuro che faccia bene a me, figurati a te! Aria.
Anaba, poco lontana, fulminò Paytah con lo sguardo. Al ragazzo non restò che togliersi rapidamente di mezzo, silenzio e testa bassa.
Malika, bevuto un piccolo sorso di Essiac giusto per partecipare, si trasse in disparte, riempiendosi gli occhi della festa e prendendo appunti per scriverne il giorno successivo. Si guardò intorno cercando di vedere se Lilith aveva infine deciso di partecipare al rituale, ma invece della ragazza vide il maggiore Smith che si allontanava, bisbigliando qualcosa al sergente Tibs. Lo seguì da lontano, e lo vide infilarsi nella tensostruttura cubicolare del Centro Culturale.
“In biblioteca… nel bel mezzo di una festa?” pensò la poetessa perplessa, seguendolo.
Anaba guardava Jaima sforzandosi di sorridere, ma intanto, continuamente, cercava di scrutare in mezzo alla folla alla ricerca di Tallulah. Era ancora convinta che infondo l’idea del matrimonio era stata buona, ma sfortunata. Sarebbe stata una buona soluzione per la colonia e avrebbe aiutato la ragazza a sbocciare e superare tutte le sue insicurezze. Aveva enormi qualità, potenzialmente, ma era persa dietro i fantasmi della sua famiglia e della sua ribellione. Ma nel tentativo di guidarla a prendere il suo posto in seno alla comunità del Popolo, Anaba cominciava a temere di averla allontanata definitivamente. Poi, però, verso la fine della serata, vide il suo codino spuntare dietro un uomo, tra gli ultimi della fila. Anaba trasse un profondo sospiro di sollievo, attendendo impaziente il turno della ragazza. Jaima se ne accorse, le accarezzò un braccio e sorrise.
Lilith avanzò, prese la coppa e sospirò profondamente, guardandoci dentro. Essendo da poco maggiorenne, era la prima volta che poteva partecipare al rituale. Sembrò sul punto di rinunciare, mentre Anaba si mordeva le labbra, ansiosa.
Poi la ragazza abbandonò gli indugi e bevve un profondo sorso.
Quando le rese la coppa, Anaba sorrise e disse:
— Sono contenta di vederti, Tallulah. Il primo rituale è un passo importante per i ragazzi del nostro Popolo. Se fossimo sulla Terra potrei accompagnarti nel tuo primo viaggio, mostrandoti gli spiriti disegnati nel cielo dalle stelle, ma questo mondo ha stelle diverse e quindi spiriti diversi. Dovrai trovarli da sola, purtroppo… spero solo che non siano spaventosi come le creature che disegni.
Lilith accennò un timido sorriso, guardò il cielo, in lontananza, verso i ghiacci, e un brivido profondo le corse lungo la schiena.
***
Il maggiore Smith scorreva su un datapad pagine su pagine di dati statistici, confrontando di tanto in tanto i risultati con i grafici su un volume cartacei, borbottando. Poi prese un vecchio volume con la copertina in pelle, pieno di appunti scritti a matita accanto al testo stampato.
Proprio in quel momento Malika scostò la tenda ed entrò.
— Ecco, proprio ciò che mi serviva. — disse il maggiore, la voce leggermente impastata, ma non a sufficienza per poterlo giudicare alticcio — Malika, lei è la persona giusta con cui condividere la mia riflessione. Senta qui: “Gli uccelli sulla terra moriranno, i fiumi si seccheranno. L’uomo bianco morirà, l’uomo rosso sopravvivrà e troverà una nuova casa tra le stelle”. È una vecchia leggenda del Popolo. Cosa ne pensa?
— Mah, in realtà non c’è molto da pensare. — rispose la donna — Molti di questi popoli indigeni, schiacciati dall’invasione europea, trovarono nelle leggende una valvola di sfogo, usandole e modificandole per elaborare le ingiustizie che sentivano di subire. Al contempo rappresentavano la speranza in un futuro riscatto. Ora sono tra le stelle, è vero, eppure non mi sembra lo stiano vivendo come il compimento di una profezia. Tutt’altro. Intanto qui intorno vedo un sacco di “uomini bianchi”. Inoltre i membri del Popolo stanno soffrendo parecchio: il loro legame con la loro Terra è molto più forte del nostro, e averlo dovuto recidere è stato ancora più doloroso.
— Noi… loro… credo che lei non sappia tutto. Forse il Popolo in questa colonia è molto più esteso di quanto non si creda.
— In che senso? — chiese Malika, non capendo dove il militare volesse andare a parare.
Il maggiore le mostrò il datapad. Riportava dati estrapolati dalla mappatura genetica completa della colonia.
— Curiosamente — disse l’uomo con un tono indecifrabile, ma poco promettente — gran parte della gente selezionata per il viaggio sulla CR-26100 aveva una certa percentuale, in alcuni casi molto bassa, ma presente, di sangue nativo americano.
— Non c’è niente di curioso. I popoli sconfitti finiscono quasi sempre per essere assorbiti dai conquistatori, ma non è che per questo possiamo dire che le nuove generazioni appartengano al popolo sconfitto. Si tratta di tracce residuali. Come quelle dei neandertaliani nei popoli europei.
— Ancora più curiosamente — continuò il maggiore, ignorando l’obiezione — praticamente tutti quelli che non avevano nemmeno una goccia di sangue nativo sono morti tra il risveglio e l’atterraggio. L’ultimo era Shin, ed è morto dopo che è andato a monte il matrimonio combinato con la ragazza del Popolo. Un caso? O l’uomo bianco non sopravvivrà, per davvero?
— Mi meraviglio di lei, maggiore. Non è il caso di farsi prendere dalla paranoia. Siamo nel XXII secolo, ci abbandoniamo ancora al pensiero magico?
— Macché. Sono un soldato, sono pragmatico. Credo a quello che ti uccide fisicamente, non alle profezie.
— E allora?
— E allora… e allora io credo che qualcuno di molto fisico, che non è di certo uno spirito né tantomeno una divinità, stia manovrando affinché si verifichino queste condizioni.
— Ma come? Qualcuno che ha boicottato le capsule sulla terra per far morire solo chi non ha sangue nativo? Non le sembra assurdo? Bastava non imbarcarli.
— No, quello non lo credo. — rispose il maggiore — Credo invece che qualcuno stia facendo qualcosa ora. Che abbia eliminato consciamente chi non era almeno in parte nativo. Qualcuno che non si fermerà, magari uccidendo uno alla volta anche chi ha meno sangue nativo. Credo che qualcuno stia facendo una specie di pulizia etnica, diciamo così, per far avverare la profezia.
— Ma ha delle prove? Almeno degli indizi?
Il maggiore si alzò, iniziando a camminare nervosamente avanti e indietro nella stanza, mentre Malika lo fissava.
— No. E in ogni caso a me interessa salvaguardare l’unità della colonia, non mi importano le origini. E per fare questo non posso e non voglio scatenare uno contro l’altro il Popolo e quelli che ne hanno magari un 1% di sangue e quindi si sentono minacciati da questa follia. Ma se c’è davvero un complotto di questo tipo, è mio compito scoprirlo, fermarlo ed eliminare la minaccia. E dubito che chi governa tutto il Popolo non ne sia al corrente.
Malika rimase in silenzio… in passato aveva sempre ritenuto Anaba un elemento positivo. Innocuo, nel peggiore dei casi. Ma gli eventi degli ultimi giorni non le facevano più apparire la Ha’Oba come una bonaria nonna di un vecchio popolo un tantino hippie. Piuttosto la reazionaria rimanenza di una cultura superata e legata con le unghie e con i denti a vecchie credenze, opposta all’integrazione e alla grande famiglia libera su cui avrebbe dovuto fondarsi la nuova umanità. Poteva essere plausibile che stesse cercando di creare una comunità puramente nativa, per liberarsi del giogo dell’uomo bianco?
— Non facciamoci prendere dalla fantasia… adesso… — disse, ma il suo tono ben poco convinto la tradiva, e il maggiore la guardò e un sorriso freddo gli balenò sul volto.
— Ci siamo capiti. — disse l’uomo — Contrariamente a quanto si creda, artisti e militari hanno molto in comune. Entrambi vogliamo che l’umanità raggiunga le sue vette. E a questo punto, gli abitanti rimasti nella colonia, per quello che ne sappiamo, sono l’umanità. Tutta l’umanità.
Distratto da un rumore, il maggiore si voltò verso l’uscita, scostò la tenda, e urlando:
— Idiota! Cosa stai facendo!
corse a strattonare J.J. che, in piedi su un sedile, stava pisciando sul mezzo di ricognizione cingolato.
Malika uscì seguendo il maggiore e faticò a trattenere un sogghigno di fronte alla scena del ragazzone biondo a braghe abbassate che continuava a pisciare mentre il maggiore cercava di evitare gli schizzi e provava a tirarlo giù di forza.
La poetessa decise di andarsene. Fece per allontanarsi dal Centro Culturale e vide Anaba, non lontana, che si muoveva furtivamente, con gli occhi spiritati.
“Era qui…” pensò “chissà quanto ha sentito…”.