Il canneto di Eridu

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#67. Maledizione.

“Non esiste una maledizione in Elfico,
Entese o nelle lingue dell’uomo
per una tale perfidia.”

[Barbalbero ne “Le due torri”]

L’attualità, la storia, la narrativa e la mitologia ci hanno consegnato ogni genere di orrore. Siamo talmente assuefatti all’orrore che possiamo pranzare tranquillamente sentendo e vedendo gente decapitata, torture, morti sezionati, delitti. E non ci viene nemmeno un po’ di nausea. Giusto un po’ quando compare un politico, ma è più un istinto pavloviano: sappiamo per esperienza che quello che dice si trasformerà in una nuova tassa, in una nuova legge in qualche modo repressiva, o comunque in qualcosa di nuovo che non ci darà piacere. Quindi ci sentiamo a disagio, e ci gira la testa.

Ma stavolta non ho alcuna intenzione di occuparmi di quei cicciobelli scadenti che guidano il nostro paese. No.

Se sono tornato a scrivere sul blog è perché mi sono sentito come Barbalbero ne “Le due torri”. Ho visto lo scempio delle antichità assire nelle immagini di questi giorni. E l’orrore che ho provato vedendo quelle opere perse per sempre mi ha sopraffatto. Non sono riuscito a esprimere tutta la rabbia che ho dentro, ho avvertito distintamente la limitatezza dell’italiano, dell’inglese, dell’elfico e dell’antico entese di fronte a quegli atti.

Non è andata in scena la rottura iconoclasta della rivoluzione, che vuole cambiare il mondo e lo fa col gesto violento della distruzione del passato per aprirsi al futuro. No. È piuttosto un odio che viene dal passato contro tutto ciò che è più antico, più moderno, contemporaneo, futuro, altrove, altroquando, altrocazzo. È il non plus ultra dell’autoaffermazione attraverso l’autoannientamento: io non conto nulla ma conto solo io. Il principio della creazione di una singolarità superiore che io credo e quindi creo e in nome della quale mi distruggo e distruggo il mondo. È il paradosso dell’ignoranza che si crede sapienza, della violenza che si crede pace, della menzogna che si crede verità. E distrugge tutto ciò che dimostra che è, appunto, ignoranza, violenza, menzogna.

Barbalbero non trova, in quella scena, di fronte allo scempio portato in essere da Saruman, nulla da dire. Urla, chiama i suoi, parte in guerra distruggendo forsennatamente. Ho provato lo stesso tipo di sensazione: non ho trovato nulla di sensato da dire, ho urlato, ho invocato gli dei, gli uomini, le civiltà a ribellarsi contro questi gesti. Ho provato sete di vendetta contro quelle facce di cazzo (non le percepivo come persone, non desideravo capire alcunché) che spaccavano con martelli pneumatici, mazze, corde. Ho provato persino orrore di me stesso, perché quell’orrore vi faceva desiderare nuovo orrore.

Ora, più lucido, mi sono calmato.
Non urlo, per dire.
Ma continua a interessarmi poco o punto capire. Per tutti esiste un limite oltre il quale l’intelletto decide di lasciar perdere. Oltre il quale il cervello umano e quello mammifero si rendono conto che se abbiamo ancora un cervello da rettile, in fondo, un motivo ci deve pur essere. E mi ostino a dire che non si può permettere che quell’orrore continui.

PS: grazie a Ishtar, ma soprattutto a Koldewey (gli sia tributato onore), la porta di Babilonia è al sicuro a Berlino.

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