Il canneto di Eridu

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#23. Figurine.

Avendo – e avendolo più volte ribadito – l’animo del collezionista, anch’io da giovine sono caduto più e più volte nel malvagio mondo delle figurine.

A questo proposito, il reperto più vecchio che ho (non completo, purtroppo) è uno splendido album della formula 1 del 1979 (la constatazione che all’epoca dell’uscita avevo solo due anni e mezzo mi fa sorgere qualche dubbio sul fatto che fosse proprio mio, o un più probabile maldestro tentativo di qualche familiare di mascherare una propria voglia di figurine per un «lo prendo per il bambino», ma tant’è). Vedere oggi le figurine di Villeneuve (quello forte, non il figlio scemo), di Arnoux, di John Watson, della Lotus nera e oro, delle piste di Kijalami, Watkins Glen e Brands Hatch, sì, lo dico, fa un certo effetto, e mi spiace davvero che non sia completo.

Poi vennero gli albi degli animali, quelli che davvero facevo su io, e scambiavo le figurine con gli amici (un luccio per un canguro, il ghepardo per la parte sopra del rinoceronte nero), e soprattutto a conoscere parecchi animali, e ad amarli. Okapi, ocelot, gelada, irbis, carpa a specchio, panda rosso, mamba verde, suricati… sì, esistono. Se aveste preso l’album degli animali lo sapreste anche voi.

Arrivarono le medie, e lì fu la volta dei calciatori. Se fino a poco prima avevo solo una vaga idea dell’esistenza del calcio, e di Baresi, Hateley e Wilkins, fu con le medie che diventai ben più cosciente dell’esistenza di qualcosa chiamato scudetto. Anche grazie al fatto che la mia squadra, il Milan, finalmente riuscì a vincerne uno. E così, ecco gli albi Panini! Van Basten, “celo”. Vialli, “celo”. Gullit, “celo”. “Celavevano” tutti, del resto, con tanto di treccine. E anche Maradona, Careca, Brehme, Matthaeus. Sono i vari Rui Barros, Adriano Piraccini, Notaristefano, o lo scudetto del Como, o la mascotte del Pisa su vinile trasparente, o Hugo Maradona dell’Ascoli, i rari.

E ricordo poi anche la disgustosissima serie degli Sgorbions, quei mostriciattoli rivoltanti, ributtanti, rigettanti, vomitosi, brufolosi, catarrosi, smerdolosi, ruttofoni, scoreggiomani, mutilati nelle maniere più incresciose. Tutte quelle cose che fanno ridere un bambinetto scemo. Provate: «Caccole». «Ahahahahahah».
Ecco, furono un grande successo.

E naturalmente la cosa non si è fermata lì, nel corso degli anni ogni cartone animato, serie TV, ridicolo fenomeno di costume produsse una serie di bustine colorate assiepate in scomodi espositori piazzati nei posti più difficili da raggiungere dell’edicola all’angolo.

Fino a quando, e siamo alla fine dei tempi del liceo, la figurina muta. Richard Garfield ha la grande idea: il gioco di carte collezionabili. Così si stabilisce un doppio criterio per il valore di una carta (di per sé risibile): rarità ai fini collezionistici e utilità ai fini del gioco, che produce tesaurizzazione e ulteriore rarità per i collezionisti. Nasce Magic The Gathering, ed è un bestiale successo planetario. Si crea un nuovo standard nei giochi, un nuovo fenomeno di massa. Qualsiasi professore scopre in ritardo un nuovo nemico, ed è quel corposo multiverso di Angeli di Serra, Vampiri di Sengir, Draghi di Shivan, Vassalli di Gea e Geni Mahamoti, e quantaltrocazzo, che si diffonde e si radica sotto i banchi. Il paradiso dei collezionisti. Il paradiso dei giocatori. E io sono entrambe le cose.
Ma tutto passa e passa anche la MagicMania. Arrivano gli emuli di Magic per mocciosi frustrati, e quelli ce li possiamo risparmiare. Sì, direi che ce li possiamo davvero risparmiare.

E arriviamo, partiti da quell’albo del 1979, a ieri sera. Quando in un locale cremonese io e 4 amici ci troviamo a giocare. Non a Magic, è un po’ che non lo si gioca, ma a un grazioso gioco di carte (non collezionabili) chiamato 7Wonders. Non mi dilungherò sul gioco, ma posso dire che l’argomento mi è quantomeno congeniale (vedi #11. Meraviglia.), e i disegni nient’affatto male, sufficientemente evocativi. In breve tempo, e per la fermentazione nella panza degli zuccheri della coca-cola, ci si trova a fantasticare. In primis su una lista di meraviglie tratta dalla letteratura fantasy (Minas Tirith? La Barriera di A game of thrones?), poi su un’ipotetica collezione di figurine di personaggi storici… Così come da giovane mi sono appassionato agli animali anche grazie alle figurine, non potrebbe essere interessante produrre figurine anche su un tema appassionante come la storia dell’uomo? O meglio, gli uomini della storia.
È chiaro che non dovrebbero essere disegnati tipo i vecchi inserti de Il Giornalino, ma devono essere opere di tutt’altro spessore, tipo appunto i disegni delle carte di Magic. E corredati da brevi descrizioni che possano appassionare, far capire quanto cazzo era interessante quel personaggio.

Ed eccoci così, alfine, giunti a quello di cui volevo parlare.
Ipotizzando di fare un album di figurine dei personaggi dell’antichità, chi ci vorreste dentro?
Ne butto giù qualcuna…

Cleopatra. Una bella donna. Cioè, “una bella donna”? Semplicemente? Stiamo parlando di una ragazza molto giovane che ha fatto innamorare gli uomini più importanti di Roma. Cesare. Marco Antonio. Stiamo parlando della giovanissima regina del popolo che già allora vantava tremila anni di storia, al cui cospetto i grandi di Roma dovevano apparire come un macellaio arricchito al cospetto di un Asburgo. E al contempo un personaggio drammatico: risoluta, volitiva, disposta alla guerra civile contro il fratello, disposta ad andare a Roma, ma da regina, non da schiava. Ambiziosa abbastanza da toccare il potere sull’intero Impero, e disperata abbastanza da togliersi la vita. No, non semplicemente “una bella donna”, ma probabilmente una delle persone più affascinanti della storia.

E Sargon di Akkad, il primo imperatore di cui la storia certa ci parla. L’uomo che fonda Akkad, e unisce la Mesopotamia, fino all’Anatolia, fino al Mediterraneo. Millenni di civiltà si rifanno a quest’uomo come prototipo del grande re venuto dal nulla (il padre era giardiniere), e divenuto prima coppiere del re di Kish, poi egli stesso re, unificatore dei sumeri, fondatore di Akkad (da cui la lingua accadica prende il nome) fino a dominare i quattro angoli del mondo. Il re giusto, eppure conquistatore. Simbolo di tutte le doti del buon governo.

Poi metterei una bella coppia, in figurina doppia: Akenathon e Nefertiti. Lui, il faraone eretico, che in opposizione ai troppo potenti sacerdoti di Tebe del culto di Amon istituì una nuova religione, monoteista, sul culto del sole Aton. E costruì una nuova capitale, e un nuovo stile nell’arte, con la rappresentazione realistica, e non più idealizzata e senza difetti, dell’essere umano. Lei, la saggia e bellissima regina, la donna perfetta che nonostante le modifiche intervenute nell’arte amarnita è rappresentata comunque splendida.

E poi la schiera dei “nemici” dell’impero romano, romantici come solo i grandi sconfitti sanno essere. Interessante da questo punto di vista la regina Zenobia, che arrivò a costruire un vasto regno in oriente a partire dalla sua capitale Palmira, e combattè l’Imperatore Aureliano, fino a quando venne sconfitta, catturata mentre cercava col figlio di scappare attraversando l’Eufrate, e portata a Roma come bottino di guerra in catene d’oro. E Boudicca. La rossa figlia del re degli iceni, alla morte di questo essa stessa regina, reagì duramente all’occupazione romana, che trasse i nobili celtici in schiavitù e confiscò i beni, e per risposta (ce lo dice Tacito), venne umiliata, frustata in pubblico, e le sue figlie stuprate. Boudicca divenne così la più feroce e determinata oppositrice ai romani dell’intera Britannia. E organizzò una grande rivolta che arrivò a incendiare e radere al suolo Londinium (Londra). La ritorsione romana non si fece attendere, e Boudicca si avvelenò.

Ah, naturalmente c’è anche il più grande di tutti: Alessandro. Inutile parlare delle sue gesta e della sua vita, sono arcinote anche tra i meno amanti della storia. Ma sarebbe difficile davvero da rendere con un disegno il suo sguardo, buttarci dentro la determinazione di chi è arrivato ai confini del mondo, dalle colline malciucciate della Macedonia fino al tetto del mondo, alle vette dell’Hindukush. Buttarci dentro l’incapacità di fermarsi, le mille Alessandrie. Quella sì che sarebbe una versa sfida, rendere Alessandro un’immagine reale. Troppo scarso quello di Colin Farrel nel film di Oliver Stone.

E poi i grandi rivali, sempre in figurine doppie: Cesare e Pompeo, Scipione e Annibale, Marco Antonio e Ottaviano, e andando più indietro Ramses II e Muwatalli II, con il “grande pareggio” della battaglia di Qadeš, a seguito della quale fu firmato tra egizi e hittiti il più antico trattato di pace di cui ancora possediamo una copia, conservata all’ONU.

E Hammurapi, il re babilonese che ci diede il più antico codice di leggi scritto ancora conservato, e il suo ideale continuatore, Giustiniano, con il Corpus Iuris Civilis. Li metterei anche loro in doppia figurina, così, per vicinanza “tematica”.

Avete altre idee? C’è qualcuno che non può assolutamente mancare? Io ne potrei citare ancora mille, e mille mila. E non farei altro che rendere ancora più stridente il contrasto con un ipotetico album di figurine dei potenti dei nostri giorni. Perché oggi di certo non so chi vorrebbe una figurina di Monti, Holland, Draghi, Tsamaras, o peggio ancora della Merkel. Si riuniscono a gruppi alterni ogni dieci giorni e non risolvono una fava. Nella loro vita non faranno quello che fecero in dieci giorni gli uomini e le donne delle figurine sopra citate. Figuriamoci unire l’Europa. Bah. Il vertice del 28-29. Bah. Baaaaah. Baaahaahahaaaa. Humpf.

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